venerdì 24 aprile 2015

Etiopia: la culla della civiltà


Parliamo di un paese poco conosciuto come meta turistica ma estremamente affascinante nei suoi diversi aspetti.. Qui è nato il genere umano e da qui proveniamo tutti noi. Qui regnò Ras Tafari, più noto col nome di Hailè Sellassiè, e Bob Marley utilizzò parte del suo stupendo e solenne discorso tenuto nel 1963 alla conferenza alle Nazioni Unite, quale testo della canzone “War” per richiamare l’uguaglianza tra gli uomoni e superare le differenze di classe, razza e nazionalità. 

E ancora qui Arthur Rimbaud visse e scrisse alcune delle sue straordinarie opere. In Etiopia ritroviamo radici che non credevamo di avere…. 
Il viaggio inizia ad Addis Abeba, una caotica metropoli di 4 milioni di abitanti in bilico tra povertà e ricchezza dove al National Museum incontriamo il nostro più antico antenato: Lucy, una femmina di australopiteco vissuta 3,7 milioni di anni fa.  
Proseguiamo quindi verso il nord: le strade sono invase da una folla multicolore che si muove incessantemente; le donne portano enormi fascine sulle spalle o taniche d’acqua: i pozzi distano ore di cammino dai villaggi e sono sempre le donne a dover percorrere quotidianamente la strada per raccogliere l’acqua. I bambini spingono pecore e asini. Gli scolari in gruppi camminano verso la scuola distante anche molti chilometri. Gli uomini incedono con l’immancabile bastone e spesso con il kalashnikov. 

Il popolo che cammina: così sono definiti gli etiopi, un mosaico di razze ed etnie. La gente è cordiale, durante il nostro viaggio spesso ci fermeremo per visitare villaggi e capanne, sempre scortati da folti gruppi di bambini incuriositi. Si fanno fotografare dispensando sorrisi, e quando si rivedono nello schermo della macchina fotografica dimostrano la loro approvazione con grandi risate di meraviglia!


Arriviamo sul lago Tana, famoso per gli antichi monasteri situati nelle molte isole. I monasteri, come tutte le chiese etiopi, sono circolari con le mura esterne di legno e il tetto di paglia e ricoperti di affreschi, antichi o moderni, che raffigurano le scene dell’antico e nuovo testamento. Non lontano si trovano le cascate del Nilo Azzurro: è qui che il grande fiume inizia il suo cammino che terminerà dopo 5000 chilometri nel Mediterraneo. Una diga costruita recentemente ne ha ridotto la portata ma l’ampio salto del fiume, che si tuffa con fragorosa imponenza da una quarantina di metri, è pur sempre spettacolare. 
Per strada incontriamo uno strano corteo: un gruppo di uomini che porta a spalle una barella dove c’è un uomo sdraiato. Sono partiti all’alba e stanno portando il malato in un villaggio dove c’è un guaritore. Durante il viaggio ci fermeremo più volte nelle scuole: povere capanne con tetto di paglia e scolari seduti sulla nuda terra. Ci accolgono sempre con gioia e con orgoglio ci mostrano i loro quaderni. Doniamo loro le biro che abbiamo portato dall’Italia e siamo ricompensati con meravigliosi sorrisi e infiniti ringraziamenti da parte delle maestre. In Etiopia la scuola non è obbligatoria e solo pochi bambini la frequentano, spesso per recarsi a scuola devono percorrere a piedi distanze notevoli, anche 15 chilometri. 

Eccoci a Gondar: definita la “Camelot dell’Africa” per la sua cittadella reale, patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Il complesso di Fasil Ghebbi possiede un fascino particolare, soprattutto in questa collocazione geografica: il castello, palazzi, chiese ed altri edifici in uno stile misto di barocco portoghese con influssi arabi ai quali si accede attraversando una cinta muraria su cui si aprono 12 porte.Non mancheremo poi di visitare la chiesa di Debra Berhan Selassie, con il sorprendente soffitto dal quale ci guardano 80 visi di angeli, diventati il simbolo stesso della città di Gondar. 

Ripartiamo per un lungo spostamento attraverso l’altopiano; la strada sale fino a 4000 metri di altitudine per poi scendere fino ad arrivare ai 2700 metri di Lalibela, la “Gerusalemme d’Africa”. Inserita nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco a Lalibela magia e leggenda si fondono dando vita ad una delle meraviglie del Mondo. 

Undici meravigliose chiese rupestri intagliate nella roccia e collegate da gallerie, tunnel e passaggi, tra le quali spicca quella di S. Giorgio, a pianta cruciforme, ricavata da un unico blocco di tufo rosa e che sembra inghiottita dalla terra…E’ davvero un capolavoro: sicuramente il monumento più incredibile di tutta l’Etiopia. Si narra che per costruire Lalibela di giorno lavorassero gli uomini e di notte gli Angeli continuassero l’opera. La prima parte del viaggio è terminata: la rotta storica ha mantenuto le sue promesse…. 

Ora torniamo ad Addis Abeba per partire alla scoperta del sud del paese, tra laghi, fiumi leggendari e vallate rigogliose per conoscere le popolazioni più primitive dell’Africa che hanno conservato ritmi e costumi di vita invariati da secoli.
La strada attraversa campi di orzo, grano e teff, il tipico cereale con cui si prepara l’injera il piatto locale che consiste in una crepe spugnosa e acidula che viene accompagnata con verdure e carne. Davanti ad ogni capanna si vedono le donne che lentamente girano l’impasto per poi cuocerlo su una piastra. Nei campi coltivati spesso c’è una piattaforma con sopra un bambino che con una fionda lancia i sassi per scacciare gli uccelli. Sotto il sole cocente il bambino deve resistere tutto il giorno, e arriva alla sera stremato ma il cereale è troppo prezioso per permettere agli uccelli di depredarlo. 
Arriviamo ad Awassa, una cittadina nel cuore della Rift Valley, sulle rive dell’omonimo lago popolato da miriadi di pellicani, aironi, fenicotteri, cicogne e marabù. Visitiamo il famoso mercato del pesce: molti pescatori stanno scaricando il pesce appena pescato, altre barche stanno arrivando a riva e sotto un capannone si tiene il vero e proprio mercato dove fervono le contrattazioni, mentre tutt’intorno le bancarelle offrono invitanti fritture. Una curiosità: ad Awassa c’è l’hotel più lussuoso di tutta l’Etiopia, proprietà di Haile Gebrselassie, atleta etiope campione olimpico.
Proseguendo incontriamo le tribù dei Oromo. In un villaggio il capotribù ci mostra con orgoglio la sua giovanissima nuova sposa: la cerimonia si è celebrata qualche giorno prima ed è la sua terza moglie. Per averla ha dovuto cedere due capre alla famiglia della ragazza, un’enorme ricchezza….
   
A Yabello, sul fondo di un cratere vulcanico, c’è il lago El Sod che significa la casa del sale, utilizzato dalle tribù Borana per prelevare il sale. Il processo di estrazione è artigianale: con gli asini scendono il cratere fino ad arrivare al lago nero dove si immergono e con l’ausilio di lunghi bastoni di legno estraggono la melma nera che contiene il sale. Arriviamo a Konso dove visiteremo il villaggio del Re di Konso. Proprio il Re ci fa da guida: il villaggio è un fitto labirinto di recinti che delimitano le singole case, e apprendiamo che anche il principe Alberto di Monaco si è recato in visita: con orgoglio ci mostra le foto che li ritraggono insieme. Vediamo anche le foto delle mummie dei precedenti re: alla morte del re il suo corpo viene mummificato e la mummia viene conservata per 9 anni come se fosse viva, pertanto riverita e consultata per ogni questione. Solo al termine dei 9 anni il figlio può succedere e celebrare il funerale.
Proseguendo verso Turmi incontriamo degli Hamer che si stanno recando al mercato: sono partiti dal villaggio la sera prima e hanno camminato tutta la notte, per andare a vendere 6 uova e del burro. Offriamo loro un passaggio sul nostra fuoristrada ma rifiutano: porta sfortuna salire su un auto. Li ritroveremo dopo qualche ora al mercato: con il ricavato della vendita hanno comprato il teef per fare l’injera. Vedremo molti altri mercati nel corso del nostro viaggio: mercati poveri, dove si riversano le genti dei villaggi dei dintorni per ritrovarsi e vendere i loro prodotti ma anche semplicemente per incontrarsi e scambiarsi notizie. Si vende di tutto: tessuti, sementi, verdure e collanine. Ma cosa colpisce di più sono le persone con i loro ornamenti e costumi differenti per ogni tribù di appartenenza.

Finalmente arriviamo al Fiume Omo: uno spettacolo degno della sua fama. Tra Turmi e Dimeka incontriamo le tribù Hamer e Karo, tra le più belle dell’Etiopia. La tipica acconciatura femminile degli Hamer è ottenuta dall’intreccio di sottilissme treccine spalmate di burro, resina e argilla rossa.
 
Un’usanza piuttosto sconcertante è quella della fustigazione femminile. Ostentare le cicatrici delle scudisciate che si autoinfliggono è indice di coraggio e attaccamento alla famiglia e più si hanno cicatrici maggiore è la probabilità di trovare marito.


Da Jinka partiamo alla volta del Mago Park, dove vivono i Mursi il popolo noto perchè le donna utilizzano il piattello labiale: dischi di argilla che arrivano a misurare anche 16 centimetri. Pare che questa usanza derivi dal fatto che un tempo venissero rapite dagli schiavisti solo le donne senza difetti e il piattello deturpava la fisionomia e scoraggiava il rapimento. E’ un popolo poco socievole e al nostro ingresso al villaggio veniamo assaliti con modi bruschi: ognuno vuol essere fotografato dietro pagamento di qualche birr (pochi centesimi di euro) e tutti gli uomini sono armati…. l’atmosfera non è per niente rassicurante.
Proseguiamo per Arba Minch: per strada ci fermiamo in un villaggio Karo e il capovillaggio ci chiede se possiamo curare un ragazzo con una brutta ferita: il ragazzo arriva e mostra la mano fasciata. Quando toglie la pezza che utilizzava come benda rimango senza fiato: non avevo mai visto nulla di simile, la mano era in cancrena. Non potendo fare null’altro ho spruzzato del disinfettante spray e regalato una scatola di paracetamolo. Non dimenticherò mai la gratitudine del ragazzo convinto che “la donna straniera” aveva dato una medicina in grado di guarirlo!
 
Arriviamo sul lago Chamo pronti per un’escursione in barca per vedere gli ippopotami e i coccodrilli. Ne vedremo moltissimi: i coccodrilli sono lunghi anche 6 metri, si dice che qui vivano quelli più grossi di tutta l’Africa. I pescatori pescano in piedi su instabili zattere costruite da tronchi di legno, incuranti dei coccodrilli che nuotano poco distanti.
Arrivati sull’altra costa sbarchiamo e a pochi passi dalla riva troviamo molti branchi di zebre che pascolano tranquillamente.
 
 
 
Nel pomeriggio ci rechiamo sulle alture circostanti per andare nei villaggi Dorze, che abitano in capanne alte fino a 12 metri fatte a “naso d’elefante” fatte di foglie di finto banano. Le donne lavorano le foglie di finto banano fino a farne uscire tutta la polpa, che verrà messa sottoterra a fermentare per 30 giorni. Trascorso questo tempo viene reimpastata e cotta sulle braci per ottenere un ottimo pane. Ce lo fanno assaggiare con il miele ed è davvero buonissimo.
Il nostro viaggio volge al termine: abbiamo visto un paese meraviglioso dove si mescolano storia, natura e popoli incredibili. Un paese di antichi monasteri, di chiese incredibili, di coloratissimi mercati, di coccodrilli ed ippopotami, zebre e dik dik, fenicotteri e marabù, ma soprattutto di tante tribù ognuna con le proprie tradizioni. Torniamo a casa con le valigie vuote perchè abbiamo regalato tutto il nostro abbigliamento ma con il ricordo dei tanti sguardi, dei tanti occhioni scuri, dei tanti sorrisi che porteremo sempre nel cuore
 
 
 
 
 
 

Anna Maria Gullino

(questo articolo è anche disponibile su Medium)

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