Il palazzo per uffici oggi sede di Generali Italia S.p.A. a Torino in Via Mazzini 53 nasce a metà degli anni ‘50 come sede destinata ad accogliere la direzione amministrativa della Riv, azienda storica della città, produttrice dei cuscinetti a sfera, e viene inaugurato nel 1956 nell’ambito delle celebrazioni per il cinquantenario della società committente, parte del gruppo Fiat.
L’ingombrante e discussa mole dell’edificio, una sorta di grattacielo “orizzontale”, viene progettato dall’architetto Amedeo Albertini con la collaborazione del collega Umberto Cuzzi e si trova collocata ai margini del centro cittadino e affacciata sul viale alberato lungo il fiume Po, corso Cairoli, a ridosso dei Murazzi tardo-ottocenteschi.
Così come il vicino “edificio alto” progettato a partire dal 1947 da Gualtiero Casalegno (via dei Mille angolo corso Cairoli), il palazzo ex-Riv ha assunto il compito di rivoluzionare la maglia viaria e il fronte urbano verso la collina.
Analogamente ad altre strutture realizzate a Torino nel medesimo periodo, come i palazzi gemelli della Fiat di corso Marconi del 1951 e la sede della Lavazza di corso Novara del 1957, emerge con grande evidenza come la scelta compositiva assunta dai progettisti rimandi espressamente al modello della tradizionale scansione tripartita del blocco edilizio: il basamento leggermente arretrato e rivestito in acciaio inossidabile, un corpo compatto ma aperto grazie alla partizione verticale in paraste in pietra bianca di Finale alternate a tagli vetrati ed un coronamento rappresentato da un’ampia vetrata a nastro che corre tutto intorno all’ultimo piano. Inoltre, dietro la lama di dieci piani affacciata sul corso, viene realizzato poi, lungo via Mazzini, un edificio di sette piani fuori terra che richiama in tutto e per tutto lo stile del palazzo principale.
In origine il palazzo sul prospetto lungo il fiume contava solamente dieci campate, ma dieci anni più tardi ne vennero aggiunte altre cinque uguali dalla parte prospiciente Via dei Mille con l’obiettivo di realizzare un unico corpo di fabbrica. Questa articolata composizione strutturale, unita alla particolare geologia del terreno dovuta alla vicinanza del fiume, si rivelò quando intorno agli anni ’90 la Fiat, subentrata alla Riv-SKF (ex Riv) nell’occupazione del complesso, volle realizzare tre piani di autorimessa interrata nel cortile interno, infatti in fase di scavo le due parti che componevano l’edificio ebbero un cedimento obbligando ad un rinforzo strutturale lungo il giunto di collegamento con la realizzazione di un pilastro supplementare.
Il complesso immobiliare della Riv copriva in totale 25 mila metri quadrati suddivisi in quattro edifici: il palazzo di corso Cairoli (16 mila metri quadrati), quello contiguo su via Mazzini (3000 metri quadrati), un immobile su via della Rocca (3400 metri quadrati) e la foresteria ricavata nella Palazzina Vitale (2600 metri quadrati).
Quest’ultima è di particolare importanza architettonica in quanto unico esempio in città di neo-rococò e venne costruita nel 1898 dall'architetto Annibale Rigotti e ispirata, per volere dell'allora proprietario Gian Giacomo Vitale, a costruzioni piemontesi dell'epoca di Luigi XV.
In seguito, nel piccolo gioiello, venne sistemata la sede del Circolo del bridge, finché, negli Anni 60, la palazzina fu abbandonata e trascurata fino a divenire pericolante.
Nel 1970, con l'acquisto da parte della Riv-Skf, dopo importanti lavori di restauro e ristrutturazione tornò all'antico splendore. Da allora è adibita a foresteria.
Quando a metà degli anni 70 la Riv-SKF lascia le sedi di Torino, tutto il complesso diventa di proprietà della Fiat che insedia una serie di uffici amministrativi di alcune società del suo gruppo. Poi agli inizi del 2000 il palazzo di Corso Cairoli e quello di Via Mazzini diventano la sede della Toro Assicurazioni (ora Generali Italia), mentre la Palazzina Vitale viene successivamente venduta a terzi e riconvertita in parte ad uffici ed in parte a foresteria.
La particolarità di questo sito però non è solo nel presente, ma risiede soprattutto nel suo passato ed infatti non tutti sanno che l'isolato delimitato dalle attuali Via Mazzini, Via dei Mille, Via della Rocca e Corso Cairoli, dove oggi sorge il palazzo di Generali Italia (ex Toro Assicurazioni e prima ancora RIV-SKF), nel ‘700 ospitava la chiesetta di San Lazzaro con annesso cimitero.
Il terreno venne donato dal sovrano dell’epoca e fu incaricato l'architetto della Real Casa, il Conte Francesco Valeriano Dellala di Beinasco, a progettare nel 1777 il cimitero di San Lazzaro. Il cimitero era detto anche "della Rocca", perché ubicato nei pressi del Bastione della Rocca, che si stagliava sulla sponda del Po e fronteggiava il Monte dei Cappuccini sulla riva opposta del fiume.
La pianta del cimitero era rettangolare, su tre lati erano presenti dei porticati (con i corrispondenti sotterranei pronti ad accogliere le tombe delle famiglie nobili e ricche) e sul fondo la cappella, al centro del cortile vi era invece l'ossario con intorno i pozzi per le inumazioni comuni.
Il cimitero di San Lazzaro fu attivo dal 1778 e qui arrivarono i resti provenienti dalle parrocchie di Sant'Eusebio, San Tommaso, San Giovanni di Dio, della Provvidenza, del Soccorso, dei Santi Marco e Leonardo, dall'Albergo di Virtù, dall'Ospedale Militare e da quello di San Giovanni.
Già nel 1829 però, con il Manifesto Senatorio del 4 aprile, si stabilì la cessazione delle inumazioni. Le spoglie dei nobili vennero traslate nel cimitero di San Pietro in Vincoli, oppure nel nuovo cimitero (quello che diventerà il Monumentale) insieme alle spoglie dei poveri. Alle famiglie che possedevano una tomba in San Lazzaro venne assegnato un nuovo sito negli altri cimiteri, oppure fu loro erogata una somma per compensare la perdita.
Già nel 1829 però, con il Manifesto Senatorio del 4 aprile, si stabilì la cessazione delle inumazioni. Le spoglie dei nobili vennero traslate nel cimitero di San Pietro in Vincoli, oppure nel nuovo cimitero (quello che diventerà il Monumentale) insieme alle spoglie dei poveri. Alle famiglie che possedevano una tomba in San Lazzaro venne assegnato un nuovo sito negli altri cimiteri, oppure fu loro erogata una somma per compensare la perdita.
Nel terreno liberato, però non bonificato, fu costruito un convento francescano, a cui subentrarono prima la sede dell'Istituto di Emigrazione Italiana e poi, dal 1886, il sifilocomio maschile, che vi restò per circa 70 anni e fu poi abbattuto.
Nel 1952 il Comune provvide finalmente allo sgombero definitivo dei pozzi (37) in 400 giornate di lavoro. Le ossa rinvenute furono trasferite al Monumentale e poste nell'ossario sotto la grande croce al centro del Campo Primitivo, dove poterono finalmente cominciare a riposare in santa pace.
Del Cimitero di San Lazzaro non resta più nulla, a parte le fonti documentarie che ne parlano e la famosa statua della "Velata" che ci catapulta indietro nel tempo fino alla fine del ‘700.
Infatti precisamente il 25 marzo 1792 è il giorno in cui muore, ad appena 28 anni, la principessa Barbara Jakovlevna Tatisjtjeva, lasciando nel dolore suo marito, il principe Aleksandr Michajlovič Beloselskij, ambasciatore russo a Torino, e tre figli (un altro figliolo morì lo stesso anno della madre). Barbara fu sepolta nel Cimitero di San Lazzaro.
Per celebrare la sua giovane consorte attraverso un degno monumento da posizionare ad ornamento della sua tomba, Aleksandr commissionò a Innocenzo Spinazzi una scultura raffigurante una donna velata, simbolo della fede e della fiducia incondizionate nei confronti della religione anche nei momenti più bui della vita, e Spinazzi replicò una scultura da lui realizzata nel 1781 per la Chiesa di Santa Maria Maddalena dei Pazzi a Firenze (luogo in cui è conservata tutt’oggi).
Dopo la soppressione del Cimitero di San Lazzaro però, iniziò una vera e propria odissea per la principessa e per la sua tomba. Nel 1830 fu trasferita nel Cimitero di San Pietro in Vincoli, con al seguito il suo bellissimo monumento funebre. Quando anche questo cimitero fu definitivamente chiuso ed iniziò ad essere teatro di messe nere, atti vandalici e ruberie varie, la tomba di Barbara venne purtroppo devastata: sparirono degli ornamenti, vennero amputate le mani della “Velata” e spaccato il libro sorretto dalla destra. Molto probabilmente i resti della donna furono traslati come tutti gli altri al cimitero Monumentale.
Negli anni ’70 il Comune decise il trasferimento della “Velata” presso i magazzini sotterranei della Mole Antonelliana. Venne poi esposta temporaneamente alla GAM (Galleria d’Arte Moderna di Torino). Giunse in seguito al Cimitero Monumentale e vi rimase fino al definitivo ingresso presso la GAM, dove attualmente si trova collocata al 2° piano nel corridoio della sezione “Etica”.
La triste vicenda della bellissima e sfortunata principessa russa morta prematuramente alimentò subito la nascita e diffusione di racconti e leggende, dalle atmosfere “gotiche” ed esoteriche, dedicati alla sua romantica figura tramutata in fantasma. Ancora oggi si aggirerebbe alla ricerca del suo amato sposo nei vari luoghi in cui la sua tomba ha abitato.
Uno di questi, anzi il primo, fu proprio il cimitero di San Lazzaro sulle cui ceneri nell’epoca moderna venne realizzato il palazzo di Via Mazzini, tant’è che agli inizi del 2000, quando la Toro Assicurazioni (ora Generali Italia) ristrutturò l’immobile prima di trasferirci la sua sede, le maestranze che vi lavorarono asserivano di sentire delle voci o dei rumori inspiegabili e da allora ogni tanto qualche dipendente o addetto alla sede dichiara di udire qualcuno che li chiama in lontananza. Ma siamo a Torino, la città che la tradizione esoterica più antica vuole sia essere contemporaneamente il vertice del triangolo della magia bianca (con Praga e Lione) e della magia nera (con Londra e San Francisco) e quindi tutto questo non deve stupire…
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